Appena
qualche frazione di secondo e il comunicato arriva a Capranica
trasmesso dal grande altoparlante della radio del caffè Mantrici, a "for
di porta". Il paese intero è per strada, impegnato nei festeggiamenti
della "Madonna dell'8 settembre". E tra la gente, come sempre
numerosissima, che segue la processione del Santo Patrono Terenziano
verso il santuario della Madonna del Piano, la notizia si diffonde in un
baleno, percorrendo velocissimamente il corteo da un capo all'altro. La
reazione è varia: c'è chi esulta; chi ringrazia Dio della notizia, chi
teme un attacco aereo e si nasconde sotto gli olmi del viale, chi piange
dalla gioia; o chi, ancora, ignorando il significato del termine
"armistizio", non capisce nemmeno cosa stia succedendo. L'effetto,
comunque, dev'essere stato davvero spettacolare. Quasi da cineteca, con
la banda che smette improvvisamente di suonare, la recita del rosario
che viene interrotta, i paramenti processionali che vengono appoggiati
agli alberi, e il Santo, addirittura, che viene abbandonato con la sua
pesante macchina in mezzo al viale Nardini mentre tutti corrono e si
agitano. Solo dopo qualche lunghissimo minuto la gente si rende conto
davvero di cosa significa quella notizia: la guerra, quella guerra che
tre anni prima era stata incominciata per spezzare le catene di un mare
che tanti italiani non avevano mai visto o, peggio, "per dare finalmente
un lungo periodo di pace con giustizia all'Italia, all'Europa, al
mondo", è finalmente finita. O, perlomeno, così avrebbe dovuto essere.
Perché, purtroppo, contrariamente a quanto si potesse legittimamente
pensare, la guerra non era finita. Anzi, il "peggio" doveva ancora
venire. Un "peggio" che avrebbe fatto davvero "vedere", e "toccare" la
guerra a molti italiani. Ed anche ai capranichesi. Un "peggio" fatto di 9
lunghissimi, fatali, terribili, interminabili mesi. Un "peggio" che -
inevitabilmente? - avrebbe finito per portare la tragedia anche a
Capranica, causando la morte di giovani ingenui, di placidi contadini,
di dolcissime mamme. Ventisei furono le vittime civili che la dura
occupazione tedesca provocò alla nostra gente: otto capranichesi e
diciassette giovani sardi. Gli uni e gli altri capranichesi, perché gli
uni e gli altri italiani. Ventisei vite stroncate dall'assurdità della
guerra. Uomini e donne a cui è stata negata ignobilmente e ingiustamente
la legittima e sacrosanta possibilità di costruirsi un futuro: Lucia
Oroni, Maria Torselli, Giuseppe Cocozza, Antonio Cocozza, Luigi Coletta,
Virgilio Andreotti, Salvatore Alessi, Antemio Baldi e 17 giovani
militari sardi. Ventisei morti. E a distanza di 60 anni da quei
tristissimi avvenimenti, c'è ancora viva la volontà, tra coloro che li
hanno direttamente vissuti, di non dimenticare, di non "perdere la
memoria" e di raccontare, a beneficio dei più giovani, "ciò che
significa la guerra". Di descrivere ancora, cioè, quei lunghissimi 9
mesi ché il paese attraversò dall'armistizio fino all'8 giugno del '44,
festa del Corpus Domini, giorno della liberazione del nostro paese da
parte delle truppe angloamericane. Tanto ancora c'è da ricordare... da
raccogliere... da dire... e non per scoprire vecchie ferite, o per "fare
nomi" (cui prodest?) di gente che ha combattuto e collaborato per una
causa sbagliata, “dall'altra parte", alimentando polemiche inutili o
disturbando il riposo e il ricordo di chi non c'è più. Ma per ribadire,
piuttosto, il senso e la necessità della memoria in quanto tale, fonte
di inesauribile esperienza dalla quale attingere, per non ripetere
ancora, tragicamente e fatalmente, gli stessi errori del passato. Per
questo motivo, un gruppo di "giovanissimi" anziani capranichesi, ha
deciso di mettere a disposizione i propri ricordi e il proprio tempo,
collaborando ad un progetto di ricerca su alcuni fatti accaduti in quei
grigissimi mesi. E se si tratterà, di nuovo, di parlare tutto sommato
degli stessi episodi - della settimana di terrore del novembre '43
soprattutto - si cercherà di farlo aggiungendo a ciò che in passato si è
già detto, e scritto, alcuni aspetti particolari tutt'ora inesplorati,
prima che se ne perda definitivamente il ricordo. E si, perché le
domande e i lati oscuri sono ancora molti. Riguardo ai sardi sbandati,
per esempio, quanti erano quelli nascosti a Capranica? Soltanto una
sessantina? E perché si erano concentrati nel nostro paese? Chi li aveva
portati qui? E qual è stato, in tutto questo, il ruolo ricoperto da
Padre Luciano Usai, saveriano cappellano militare incaricato dal governo
della R.S.I. di guadagnare a quella causa, nelle campagne di Capranica e
sotto la guida del comando tedesco, tutti i sardi sbandati dopo 1'8
settembre? E chi ricorda il colonnello Bartolomeo Fronteddu, arrivato a
Capranica per lo stesso motivo? E Francesco Maria Barracu? Potente
sottosegretario alla presidenza del consiglio della R.S.I, che i verbali
dei carabinieri affermano si sia fatto vedere a Capranica proprio in
quei giorni? E perché i sardi di Capranica furono passati per le armi,
mentre quelli catturati a Blera semplicemente condotti in prigionia? E
perché furono fucilati improvvisamente e frettolosamente per strada? E,
infine, l'ultimo e più inquietante interrogativo: da quale esercito
avevano disertato? Da quello italiano o dal neocostituito battaglione
sardo "Giovanni Maria Angioy" della R.S.I? E delle persone ebree
ospitate e nascoste a Capranica? Che cosa si sa? Ai primi del '43, una
relazione della Questura di Viterbo quantificava in circa 160, gli ebrei
sfollati nei paesi del viterbese. Ma soltanto a Capranica ce n'erano
forse una cinquantina: famiglie intere composte da numerose persone.
Soltanto i Sonnino erano una ventina, e presto furono raggiunti da altri
parenti a Capranica, dove hanno potuto scampare alla deportazione e
alla morte. Quali sono le famiglie capranichesi che li hanno aiutati e
nascosti? E della famiglia Maccari? C'è chi li addita ancora come i
salvatori di Capranica allorché, all'indomani della settimana di paura
in cui vennero fucilati i militari sardi, evitarono la distruzione del
paese già decisa dal comando tedesco per rappresaglia contro l'ostilità
della popolazione alle truppe d'occupazione. E dei tre sfortunati
giovani amici che furono abilmente e diabolicamente incastrati per non
aver fatto praticamente nulla, se non per l'aver detenuto una
mitragliatrice Breda smontata dalla torretta di un autoblindo italiano
abbandonato alla Via Romana dopo 1'8 settembre? Tutto questo a vantaggio
di chi? E perché? E che relazione ebbe questo fatto con il
rastrellamento dei sardi? Sessant'anni sono trascorsi dai quei giorni e
da quei fatti ormai lontani nel tempo. Eppure, grazie al ricordo di chi
li ha realmente vissuti, sono ancora così vicini a noi, e così presenti
nella memoria collettiva del nostro paese. Un patrimonio di esperienze
dal valore inestimabile che deve essere trasmesso, custodito,
rammentato, rievocato, insegnato. Ancora oggi. A beneficio di tutti.
Anche e soprattutto, affinché quelle 26 vite stroncate dall'assurda
follia dell'uomo, possano avere il futuro che è stato loro negato.
19 febbraio 2008
Nove mesi di guerra: Capranica racconta l'occupazione tedesca
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