E' un mio vecchio pezzo apparso nella primavera del 2004, su una ricerca e una serie di interviste da me condotte con gli anziani di Capranica. Lo ripropongo qui di seguito.
Roma, 8 settembre 1943, auditorium "O"
dell'EIAR. Sono le ore 19,45 quando il Capo del Governo, Pietro Badoglio,
diffonde via radio, la notizia dell'armistizio con le forze angloamericane.
"Il governo
italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la
schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare nuovi e più gravi
danni alla Nazione ha chiesto l'armistizio al Generale Eisenhower, comandante
in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve
cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad
eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza".
Appena qualche frazione di secondo e il comunicato arriva
a Capranica trasmesso dal grande altoparlante della radio del caffè Mantrici, a
"for di porta".
Il paese intero è per strada, impegnato nei festeggiamenti
della "Madonna dell'8 settembre". E tra la gente, come sempre
numerosissima, che segue la processione del Santo Patrono Terenziano verso il
santuario della Madonna del Piano, la notizia si diffonde in un baleno,
percorrendo velocissimamente il corteo da un capo all'altro.
La reazione è varia: c'è chi esulta; chi ringrazia Dio
della notizia, chi teme un attacco aereo, e si nasconde sotto gli olmi del
viale, chi piange dalla gioia; o chi, ancora, ignorando il significato del
termine "armistizio", non capisce nemmeno cosa stia succedendo.
L'effetto, comunque, dev'essere stato davvero spettacolare. Quasi da cineteca,
con la banda che smette improvvisamente di suonare, la recita del rosario che
viene interrotta, i paramenti processionali che vengono appoggiati agli
alberi, e il Santo, addirittura, che viene abbandonato con la sua pesante
macchina in mezzo al viale Nardini mentre tutti corrono e si agitano.
Solo dopo qualche lunghissimo minuto la gente si rende
conto davvero di cosa significa quella notizia: la guerra, quella guerra che
tre anni prima era stata incominciata per spezzare le catene di un mare che
tanti italiani non avevano mai visto o, peggio, "per dare finalmente un
lungo periodo di pace con giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo", è
finalmente finita. O, perlomeno, così avrebbe dovuto essere.
Perché, purtroppo, contrariamente a quanto si potesse
legittimamente pensare, la guerra non era finita. Anzi, il "peggio"
doveva ancora venire.
Un "peggio" che avrebbe fatto davvero
"vedere", e "toccare" la guerra a molti italiani. Ed anche
ai capranichesi.
Un "peggio" fatto di 9 lunghissimi, fatali,
terribili. Un "peggio" che - inevitabilmente? - avrebbe finito per
portare la tragedia anche a Capranica, causando la morte di giovani ingenui, di
placidi contadini, di dolcissime mamme. Ventisei furono le vittime civili che
la dura occupazione tedesca provocò alla nostra gente: otto capranichesi e
diciassette giovani sardi. Gli uni e gli altri capranichesi, perché gli uni e
gli altri italiani. Ventisei vite stroncate dall'assurdità della guerra. Uomini
e donne a cui è stata negata ignobilmente e ingiustamente la legittima e
sacrosanta possibilità di costruirsi un futuro: Lucia Oroni, Maria Torselli,
Giuseppe Cocozza, Antonio Cocozza, Luigi Coletta, Virgilio Andreotti, Salvatore
Alessi, Antemio Baldi e 17 giovani militari sardi. Ventisei morti.
E a distanza di 60 anni da quei tristissimi avvenimenti,
c'è ancora viva la volontà, tra coloro che li hanno direttamente vissuti, di
non dimenticare, di non "perdere la memoria" e di raccontare, a
beneficio dei più giovani, "ciò che significa la guerra".
Di descrivere ancora, cioè, quei lunghissimi 9 mesi ché
il paese attraversò dall'armistizio fino all'8 giugno del '44, festa del Corpus
Domini, giorno della liberazione del nostro paese da parte delle truppe angloamericane.
Tanto ancora c'è da ricordare... da raccogliere... da
dire... e non per scoprire vecchie ferite, o per "fare nomi" (cui
prodest?) di gente che ha combattuto e collaborato per una causa sbagliata,
"dall'altra parte", alimentando polemiche inutili o disturbando il
riposo e il ricordo di chi non c'è più.
Ma per ribadire, piuttosto, il senso e la necessità della
memoria in quanto tale, fonte di inesauribile esperienza dalla quale
attingere, per non ripetere ancora, tragicamente e fatalmente, gli stessi
errori del passato.
Per questo motivo, un gruppo di "giovanissimi"
anziani capranichesi, ha deciso di mettere a disposizione i propri ricordi e
il proprio tempo, collaborando ad un progetto di ricerca su alcuni fatti
accaduti in quei grigissimi mesi. E se si tratterà, di nuovo, di parlare tutto
sommato degli stessi episodi - della settimana di terrore del novembre '43
soprattutto - si cercherà di farlo aggiungendo a ciò che in passato si è già detto,
e scritto, alcuni aspetti particolari tutt'ora inesplorati, prima che se ne
perda definitivamente il ricordo.
E si, perché le domande e i lati oscuri sono ancora
molti.
Riguardo ai sardi sbandati, per esempio, quanti erano
quelli nascosti a Capranica? Soltanto una sessantina? E perché si erano
concentrati nel nostro paese? Chi li aveva portati qui? E qual è stato, in
tutto questo, il ruolo ricoperto da Padre Luciano Usai, saveriano cappellano
militare incaricato dal governo della R.S.I. diguadagnare a quella causa, nelle campagne di Capranica e
sotto la guida del comando tedesco, tutti i sardi sbandati dopo 1'8 settembre?
E chi ricorda il colonnello Bartolomeo Fronteddu, arrivato a Capranica per lo
stesso motivo? E Francesco Maria Barracu? Potente sottosegretario alla
presidenza del consiglio della R.S.I., che i verbali dei carabinieri affermano
si sia fatto vedere a Capranica proprio in quei giorni? E perché i sardi di
Capranica furono passati per le armi, mentre quelli catturati a Blara semplicemente
'Condotti in prigionia? E perché furono fucilati improvvisamente e
frettolosamente per strada? E, infine, l'ultimo e più inquietante
interrogativo: da quale esercito avevano disertato? Da quello italiano o dal
neocostituito battaglione sardo "Giovanni Maria Angioy" della R.S.I.?
E delle persone ebree ospitate e nascoste a Capranica?
Che cosa si sa? Ai primi del '43, una relazione della Questura di Viterbo
quantificava in circa 160, gli ebrei sfollati nei paesi del viterbese. Ma soltanto
a Capranica ce n'erano forse una cinquantina: famiglie intere composte da
numerose persone. Soltanto i Sonnino erano una ventina, e presto furono
raggiunti da altri parenti a Capranica, dove hanno potuto scampare alla
deportazione e alla morte. Quali sono le famiglie capranichesi che li hanno
aiutati e nascosti?
E della famiglia Maccari? C'è chi li addita ancora come i
salvatori di Capranica allorché, all'indomani della settimana di paura in cui
vennero fucilati i militari sardi, evitarono la distruzione del paese già decisa
dal comando tedesco per rappresaglia contro l'ostilità della popolazione alle
truppe d'occupazione. E dei tre sfortunati giovani amici che furono abilmente e
diabolicamente incastrati per non aver fatto praticamente nulla, se non per
l'aver detenuto una mitragliatrice Breda smontata dalla torretta di un
autoblindo italiano abbandonato alla Via Romana dopo l'8 settembre? Tutto
questo a vantaggio di chi? E perché? E che relazione ebbe questo fatto con il
rastrellamento dei sardi? Sessant'anni sono trascorsi dai quei giorni e da quei
fatti ormai lontani nel tempo. Eppure, grazie al ricordo di chi li ha
realmente vissuti, sono ancora così vicini a noi, e così presenti nella
memoria collettiva del nostro paese. Un patrimonio di esperienze dal valore inestimabile
che deve essere trasmesso, custodito, rammentato, rievocato, insegnato. Ancora
oggi. A beneficio di tutti.
Anche e soprattutto, affinché quelle 26 vite stroncate
dall'assurda follia dell'uomo, possano avere il futuro che è stato loro negato.
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