Anticipo la puntata della fiorita, pubblicandola in occasione della festa della Madonna delle Grazie.
Come sappiamo, purtroppo, per il secondo anno di seguito non si può celebrare a causa della pandemia.
Ma nel cuore di tutti i capranichesi c'è forte e viva la speranza che questo sia l'ultimo anno trascorso senza poter abbracciare la nostra Protettrice Celeste.
Si procedeva innanzitutto alla pulizia del sito con scope e ramazze che il comitato metteva a disposizione dei volontari presenti. Quindi, mani sapienti ed esperte si dedicavano al disegno delle figure sul pavimento della piazza. L’indimenticabile Zi’ Righe’, al secolo Enrico Isidori, procedeva a tracciare con il gesso volute ed intrecci, cornici e motivi di riempimento, che servivano da contorno allo storico monogramma del Viva Maria!, stemma dell’Arciconfraternita di Maria SS. delle Grazie nonché orgoglioso simbolo della resistenza e rinascita religiosa contro l’arrogante laicismo propugnato agli inizi dell’Ottocento dai francesi, durante l’occupazione dello Stato Pontificio.
Zi’ Righe’ era straordinario. Non ci sono molte parole per descrivere l’estro e la genialità delle sue creazioni. Queste prendevano forma lì per lì, intersecando linee tracciate col gesso sul selciato della piazza di Santa Maria. Aveva in mente la fiorita e la materializzava davanti ai suoi occhi. Usava lo spago fissato per una estremità ad un manico di scopa, per disegnare precise linee curve che raccordava poi in maniera sapiente e quasi misteriosa con altre linee rette già tracciate, per costruire decori ed altre forme articolate, che poi, riempite di petali di colori diversi, rivelavano al complessivo colpo d’occhio un vero trionfo di meravigliosa bellezza. Contemporaneamente, come tante api operaie, noi ragazzi venivamo mandati in giro per il paese a cercar fiori muniti di buste di plastica e scatoloni, che dovevamo riportare pieni di rose, di fiori di glicine, di pupattolo’ (il batuffoloso fiore del crisantemo bianco, ma anche della peonia), di verdi foglie di bossolo.
Il crisantemo bianco (a sinistra) e la peonia (a destra). Il primo viene comunemente detto pupattolo'
Per raggiungere le quantità necessarie al disegno stampato nella testa di zi’ Righe’, che pian piano prendeva forma, bisognava fare delle vere e proprie razzìe, che credevamo comunque di eseguire per un fin di bene e per l’onore dell’amata Madonna (anche se la maggior parte delle persone proprietarie di piante in fioritura nel mese di maggio, volentieri segnalava la disponibilità delle stesse alla Confraternita, mettendole con ciò a disposizione per la fiorita). Nel silenzio della notte, in una luce irreale, il lavoro cominciava a prendere corpo e a delinearsi. Tutto sembrava ovattato, le voci sussurravano le parole e lentamente si cercava di riempire di colore i vari spazi disegnati sul sagrato secondo le iniziali delle lettere dei colori che, sempre zi’ Righe’, vi aveva segnato non appena aveva terminato di disegnare la forma della fiorita. Durante il lavoro racconti di storie passate venivano narrate dagli uomini più grandi, che noi ragazzi ascoltavamo affascinati e avidi di meraviglia, rapiti letteralmente dall’atmosfera quasi fantastica che stavamo vivendo, mentre all’interno della chiesa alcune donne vegliavano con la continua preghiera del Rosario, davanti alla tenera Immagine della celeste protettrice dei capranichesi. Il freddo, benché si era in maggio, si impadroniva della piazza e gelava le dita intente nel distribuire petali nelle forme della fiorita, e spesso si alzava anche un vento fastidioso che richiedeva un continuo appesantimento dei petali già a terra, bagnandoli con l’acqua della fontana di vicolo di Santa Maria. Ma il freddo ci voleva ed era necessario, perché come diceva qualche uomo dai capelli bianchi, "''a fiorita a Madonna 'a vole tribbolata", per sottolineare come quell'opera faticata e resa ancora più difficile dal freddo e dal vento, fosse ancora più gradita alla nostra Mamma celeste.
A lavoro finito, quando ad est, dalla parte di Castrovecchio, cominciavano a salire le prime luci dell’alba, Giuseppe Tanci, detto Peppe ‘u Scienziato, con l’ausilio di una pompetta a spalla (comunemente detta macchinetta pe’ll’acqua ramata), si incaricava di irrorare la fiorita con abbondante acqua per evitare che il vento dell’aurora, il quale si presentava puntualissimo immancabilmente ogni anno, scombinasse malandrinamente petali e colori. La fiorita era così davvero terminata. Quello, in fondo, era il vero e proprio rito del suo battesimo, simboleggiato proprio dall’aspersione dell’acqua che usciva dalla lancia della pompetta maneggiata da Peppe. Non restava che aspettare l’uscita in processione della Madonna, rigorosamente l’unica a potervi passare sopra e per il cui onore, del resto, quell’opera d’arte così effimera e fugace era stata voluta e realizzata. Noi ragazzi, ancora eccitati per le emozioni vissute e conservate nel corso della notte, ci avviavamo verso casa commentando entusiasti le cose viste ed ascoltate, fino a che, quasi a malavoglia, rientravamo nelle nostre camerette facendo attenzione a non svegliare gli altri familiari. Quando ci coricavamo nel letto, il giorno nascente era ancora fatto di fredda luce violacea, che ancora pallida entrava dalle fessure delle persiane. E prima di essere vinti dal sonno, nei cuori sazi di bellezza, ma ancora incontentabili di belle emozioni, si manifestavano prepotenti la voglia, il desiderio e la promessa di non mancare, l’anno venturo, a quello straordinario appuntamento.
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